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Panino Giulia De Santis Milano

Giulia: un racconto di terra, mare e memoria condivisa scritto da De Santis

Dal fondo alla sommità, Giulia è una stratificazione di origini e tecniche, tutte legate dal filo invisibile del sapore. Un panino come sezione geologica del Mediterraneo

Giulia, per De Santis, è un piccolo racconto geografico

Un panino può essere molte cose. Un pasto veloce, un esercizio di stile, un gesto tecnico. Giulia, per De Santis, è anche un piccolo racconto geografico: un filo che tiene insieme ingredienti provenienti da luoghi distanti, ma che trovano coerenza nel palato. È un panino che parla di Mediterraneo, di tradizioni vegetali e di mare aperto, dove ogni sapore racconta un’idea diversa di freschezza.

Hummus, lattuga e tonno: il Mediterraneo in verticale

La base è di hummus, una crema di ceci che affonda le sue origini nella cucina mediorientale. È una pasta densa, avvolgente, che sa di legumi ma anche di sesamo tostato, terra e profondità. In Giulia non è usato come salsa di accompagnamento, ma come strato fondante: sostiene e abbraccia, con la sua consistenza spessa e il suo gusto antico. È una voce vegetale che richiama la tradizione levantina, le cucine di strada, i piatti condivisi, il pane intinto a mani nude.

Subito sopra si appoggiano i cuori di lattuga, scelti per la loro parte più chiara, dolce, croccante. La lattuga ha un ruolo tecnico ma anche simbolico: è una foglia giovane, che sa d’acqua e di campo. In una cultura gastronomica che tende a marginalizzarla, qui torna centrale – a separare il legume dalla proteina, il cremoso dal fibroso, l’umido dal compatto.

Arrivano poi i filetti di tonno, non sbriciolati, ma interi, con le fibre ancora visibili. Non un ingrediente da insalata, ma da conserva nobile. Il tonno è il pesce mediterraneo per eccellenza, legato alla cultura della pesca lenta, ai riti delle tonnare, alla trasformazione che dura nel tempo. Un tempo alimento povero, poi riscoperto, oggi ripensato. In Giulia, ha un tono pacato ma centrale: sa di mare, ma senza eccessi.

Cipolla rossa, limone, pepe: geometrie aromatiche

Accanto al tonno, la cipolla rossa introduce una nota vegetale più alta, affettata sottile come si fa nei mercati arabi, dove crudo e cotto convivono senza opposizione. La cipolla non è solo sapore: è colore, è intensità volatile. È memoria delle conserve domestiche, delle insalate estive, dei piatti rituali di mezzogiorno. La sua dolcezza pungente accompagna, eleva, rompe.

Il limone, affettato e non solo spremuto, è una scelta precisa. È un agrume che non accompagna: partecipa. Usato interamente, con la polpa e non solo il succo, richiama la cucina maghrebina, le tajine, le preparazioni a crudo del Levante e del Sud Italia. Il limone in Giulia non è un condimento: è una soglia tra le densità. Parla di asprezza solare, di igiene simbolica, di passaggi.

Infine il pepe nero, usato con parsimonia, chiude la frase. Spezia delle spezie, simbolo delle rotte coloniali e del desiderio di Oriente, il pepe è il più globale degli ingredienti, ma qui si fa piccolo dettaglio. Non per incendiare, ma per orientare.

Giulia è un panino che ascolta

Giulia è un panino che ascolta. Una piccola narrazione migrante. Mette insieme ingredienti che, pur parlando lingue diverse, condividono una grammatica comune: quella della pazienza, della preparazione lunga, della materia non mediata. Non c’è nulla di modaiolo, né nulla di nostalgico. Solo ingredienti che si rispettano, e si danno spazio.